domenica 27 novembre 2011

Allarme del New York Times: Ue a rischio fallimento

Le banche americane e asiatiche preparano un piano B. Intesa Parigi-Berlino: nuovo patto di stabilità entro il 2012



di Rodolfo Parietti - 27 novembre
Fonte: Il Giornale

Maestri insuperati del genere catastrofico, gli americani adesso ci provano con la fantascienza: «2012, la fine dell’euro». L’editoriale uscito ieri dalle colonne del New York Times suona più o meno così, con quel raccontare di banche, in particolare quelle statunitensi, impegnate nella messa a punto di piani di emergenza per non farsi cogliere impreparate dall’implosione della moneta unica.


Magari quelle stesse banche che hanno avvelenato il mondo intero con le tossine dei mutui subprime, adesso sono pronte alla fuga sotto la spinta delle autorità Usa. Il cui suggerimento sembra uno solo: ridurre l’esposizione verso l’eurozona. Forse perché ancora non a conoscenza del patto segreto che, secondo la Bild, Parigi e Berlino avrebbero stipulato per apportare modifiche lampo al patto di stabilità da presentare al vertice dell’8 gennaio.
Quanto all’allarme tra le banche, non sarebbe circoscritto al mondo del credito a stelle e strisce. In Asia, le authority di Hong Kong hanno intensificato il monitoraggio dell’esposizione delle banche straniere e nazionali alla luce della crisi europea. E i principali istituti finanziari britannici, come Royal Bank of Scotland, stanno cercando soluzioni per evitare di restare col cerino acceso in mano.
Nell’ultima settimana il livello di allerta sembra essere salito un po’ ovunque. Istituti come Merrill Lynch, Barclays Capital e Nomura hanno diffuso rapporti a cascata che esaminano l’eventualità di un crollo dell’eurozona. «La crisi finanziaria dell’eurozona è entrata in una fase ben più pericolosa», spiegano gli analisti di Nomura. «A meno che la Banca centrale europea intervenga per aiutare dove i politici hanno fallito, un collasso dell’euro al momento sembra più probabile che possibile».
Meno impaurite appaiono invece proprio le banche che dovrebbero avere più motivi per essere preoccupate, cioè quelle europee. «Banche in Francia e Italia in particolare - si legge ancora nell’editoriale - non starebbero creando piani di back up, affermano i banchieri, per la semplice ragione che essi hanno concluso che è impossibile che l’euro possa crollare». Anche se, ricorda il Nyt, Bnp Paribas, Société Générale, UniCredit e altre hanno recentemente scaricato decine di miliardi di euro di debito sovrano europeo «il pensiero è che ci sono pochi motivi per fare di più». L’articolo si sofferma in particolare su Intesa Sanpaolo, citando alcune dichiarazioni di Andrea Beltratti, presidente del consiglio di amministrazione dell’istituto. «Quando Intesa Sanpaolo - spiega Beltratti - ha valutato diverse situazioni in preparazione per il suo piano strategico 2011-13 a marzo scorso, nessuna si basava sul possibile crollo dell’euro, e anche se la situazione si è evoluta, non abbiamo rivisto il nostro scenario per tenere conto di questo. Sicuramente mi sentivo più fiducioso qualche mese fa, ma resto ottimista tuttora».
Altre banche non sono invece più così sicure della tenuta dell’euro, sottolinea il New York Times, in particolare perché la crisi del debito sovrano ha minacciato di colpire la stessa Germania questa settimana, quando gli investitori hanno iniziato a mettere in dubbio il rango di principale pilastro della stabilità europea del Paese. E ancora: venerdì Standard&Poor’s ha ridimensionato il rating del Belgio da AA+ ad AA, evidenziandone l'impossibilità di ridurre in tempi rapidi il fardello del debito. Le agenzie di rating hanno inoltre avvertito che la Francia potrebbe perdere la tripla A se le proporzioni della crisi aumentassero. E giovedì erano stati abbassati i rating di Portogallo e Ungheria, accostati a spazzatura
Insomma: troppi segnali negativi. I leader europei, continua l’editoriale, sostengono che non ci sia ancora bisogno di approntare un piano B, ma è proprio ciò che stanno predisponendo alcune delle principali banche mondiali, insieme con i loro supervisori.


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Le banche americane e asiatiche preparano un piano B. Intesa Parigi-Berlino: nuovo patto di stabilità entro il 2012



di Rodolfo Parietti - 27 novembre
Fonte: Il Giornale

Maestri insuperati del genere catastrofico, gli americani adesso ci provano con la fantascienza: «2012, la fine dell’euro». L’editoriale uscito ieri dalle colonne del New York Times suona più o meno così, con quel raccontare di banche, in particolare quelle statunitensi, impegnate nella messa a punto di piani di emergenza per non farsi cogliere impreparate dall’implosione della moneta unica.


Magari quelle stesse banche che hanno avvelenato il mondo intero con le tossine dei mutui subprime, adesso sono pronte alla fuga sotto la spinta delle autorità Usa. Il cui suggerimento sembra uno solo: ridurre l’esposizione verso l’eurozona. Forse perché ancora non a conoscenza del patto segreto che, secondo la Bild, Parigi e Berlino avrebbero stipulato per apportare modifiche lampo al patto di stabilità da presentare al vertice dell’8 gennaio.
Quanto all’allarme tra le banche, non sarebbe circoscritto al mondo del credito a stelle e strisce. In Asia, le authority di Hong Kong hanno intensificato il monitoraggio dell’esposizione delle banche straniere e nazionali alla luce della crisi europea. E i principali istituti finanziari britannici, come Royal Bank of Scotland, stanno cercando soluzioni per evitare di restare col cerino acceso in mano.
Nell’ultima settimana il livello di allerta sembra essere salito un po’ ovunque. Istituti come Merrill Lynch, Barclays Capital e Nomura hanno diffuso rapporti a cascata che esaminano l’eventualità di un crollo dell’eurozona. «La crisi finanziaria dell’eurozona è entrata in una fase ben più pericolosa», spiegano gli analisti di Nomura. «A meno che la Banca centrale europea intervenga per aiutare dove i politici hanno fallito, un collasso dell’euro al momento sembra più probabile che possibile».
Meno impaurite appaiono invece proprio le banche che dovrebbero avere più motivi per essere preoccupate, cioè quelle europee. «Banche in Francia e Italia in particolare - si legge ancora nell’editoriale - non starebbero creando piani di back up, affermano i banchieri, per la semplice ragione che essi hanno concluso che è impossibile che l’euro possa crollare». Anche se, ricorda il Nyt, Bnp Paribas, Société Générale, UniCredit e altre hanno recentemente scaricato decine di miliardi di euro di debito sovrano europeo «il pensiero è che ci sono pochi motivi per fare di più». L’articolo si sofferma in particolare su Intesa Sanpaolo, citando alcune dichiarazioni di Andrea Beltratti, presidente del consiglio di amministrazione dell’istituto. «Quando Intesa Sanpaolo - spiega Beltratti - ha valutato diverse situazioni in preparazione per il suo piano strategico 2011-13 a marzo scorso, nessuna si basava sul possibile crollo dell’euro, e anche se la situazione si è evoluta, non abbiamo rivisto il nostro scenario per tenere conto di questo. Sicuramente mi sentivo più fiducioso qualche mese fa, ma resto ottimista tuttora».
Altre banche non sono invece più così sicure della tenuta dell’euro, sottolinea il New York Times, in particolare perché la crisi del debito sovrano ha minacciato di colpire la stessa Germania questa settimana, quando gli investitori hanno iniziato a mettere in dubbio il rango di principale pilastro della stabilità europea del Paese. E ancora: venerdì Standard&Poor’s ha ridimensionato il rating del Belgio da AA+ ad AA, evidenziandone l'impossibilità di ridurre in tempi rapidi il fardello del debito. Le agenzie di rating hanno inoltre avvertito che la Francia potrebbe perdere la tripla A se le proporzioni della crisi aumentassero. E giovedì erano stati abbassati i rating di Portogallo e Ungheria, accostati a spazzatura
Insomma: troppi segnali negativi. I leader europei, continua l’editoriale, sostengono che non ci sia ancora bisogno di approntare un piano B, ma è proprio ciò che stanno predisponendo alcune delle principali banche mondiali, insieme con i loro supervisori.


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