mercoledì 19 ottobre 2011

Sud: la Lega bocciata in economia

Di GIOVANNI VALENTINI

Con il suo perentorio e autorevole intervento contro la minaccia della secessione, in un colpo solo il Capo dello Stato ha infranto il mito eponimo della propaganda leghista e ha rilanciato la centralità della "questione meridionale". Quando proclama "urbi et orbi" nella sua Napoli che "la Padania non esiste", Giorgio Napolitano diffonde un messaggio forte e chiaro a sostegno dell’unità nazionale. E cogliendo il momento di maggior debolezza politica di Umberto Bossi e del suo "partito territoriale", il presidente della Repubblica fa appello alla responsabilità della maggior parte degli italiani che sono contrari alla separazione dell’Italia.
Era stata recentemente la Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, a lanciare l’allarme per avvertire che nei prossimi vent’anni le regioni meridionali saranno investite da uno "tsunami demografico". E il Rapporto 2011 dell’istituto fornisce una messe di dati preziosi, tanto inediti quanto preoccupanti. Da qui al 2050, si prevede che il Sud perderà circa 2,5 milioni di giovani, costretti a emigrare al Nord per cercare lavoro e sopravvivere. E mentre, a sorpresa, il Nord sorpassa il Sud per il numero medio di figli per donna, il Sud a sua volta è destinato a sorpassare il Nord quanto al numero degli ultraottantenni.
A dispetto del cliché tradizionale, nonostante il livello maggiore di occupazione e anzi proprio per questo, ormai le donne settentrionali – più garantite e assistite dal sistema del welfare – prolificano più di quelle meridionali, anche per l’effetto statistico dell’immigrazione straniera. Il Mezzogiorno, da area giovane e ricca di menti e di braccia, nel prossimo quarantennio si trasformerà così in un ospizio virtuale: un’area spopolata, anziana ed economicamente sempre più dipendente dal resto del Paese, a sua volta progressivamente invecchiato.
Se la Padania non esiste, dunque, il Sud sta morendo. E quando si dice Sud, si dice un terzo del Paese. Otto regioni (Campania, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna), con una popolazione di oltre 20 milioni di persone su un totale di 60, quasi il doppio della Grecia o del Portogallo; più di 6.500 imprese con un fatturato superiore al milione di euro (2007), pari all’11,5% del totale, per un fatturato di quasi 90 miliardi di euro su un complesso di 800 (11,2%). Un grande serbatoio di energie, umane e intellettuali; un deposito straordinario di natura, arte e cultura; ma anche un grosso mercato di consumatori.
L’Italia può fare a meno del Sud per crescere? Può dividersi o spaccarsi in due? Può amputarsi della propria metà?
È questa illusione rivendicativa e propagandistica il vero errore politico della Lega. Ed è anche la più grave debolezza del governo in carica e della sua maggioranza. L’illusione di poter tagliare il Sud come un ramo secco, un arto in cancrena, un organo malato. Sta proprio nell’incapacità di risolvere la "questione meridionale" – intesa come questione nazionale –in modo da innescare la ripresa e alimentare lo sviluppo del Paese, il fallimento strategico del centrodestra. Qui emerge tutta la sua arretratezza culturale; tutta la sua impotenza di fronte alla crisi che attanaglia il mondo, l’Europa e quindi l’Italia. La risposta evidentemente non può essere quella di buttare in mare la zavorra, bensì di governare la nave nella tempesta, per portarla indenne in acque sicure.
Nell’interesse dell’intero Paese, occorrerebbe allora una forte spinta propulsiva a favore del Sud nel decreto Sviluppo in gestazione tra palazzo Chigi e il ministero dell’Economia. Un investimento sociale, prima che economico, in quella parte dell’Italia che può e deve ancora crescere per ridurre le distanze con il CentroNord. A cominciare, naturalmente, dalla lotta agli sprechi e alle ruberie; alle false pensioni e ai falsi invalidi; e quindi alla sfida quotidiana della criminalità organizzata, sostenuta dalla subcultura dell’omertà.
I meridionali non sono certamente immuni da queste e da altre colpe. E perciò spetta innanzitutto a loro, ai giovani e alle donne, alle élites intellettuali, a quel tanto di opinione pubblica che pure alligna nelle università, nei circoli e nelle associazioni, promuovere una riscossa civile contro il degrado e l’abbandono a cui sono stati condannati dal governo a trazione leghista. Oggi più che mai il rinnovamento e la modernizzazione del Paese passano necessariamente attraverso una rinascita del Mezzogiorno, per rilanciare tutta l’economia nazionale.


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Di GIOVANNI VALENTINI

Con il suo perentorio e autorevole intervento contro la minaccia della secessione, in un colpo solo il Capo dello Stato ha infranto il mito eponimo della propaganda leghista e ha rilanciato la centralità della "questione meridionale". Quando proclama "urbi et orbi" nella sua Napoli che "la Padania non esiste", Giorgio Napolitano diffonde un messaggio forte e chiaro a sostegno dell’unità nazionale. E cogliendo il momento di maggior debolezza politica di Umberto Bossi e del suo "partito territoriale", il presidente della Repubblica fa appello alla responsabilità della maggior parte degli italiani che sono contrari alla separazione dell’Italia.
Era stata recentemente la Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, a lanciare l’allarme per avvertire che nei prossimi vent’anni le regioni meridionali saranno investite da uno "tsunami demografico". E il Rapporto 2011 dell’istituto fornisce una messe di dati preziosi, tanto inediti quanto preoccupanti. Da qui al 2050, si prevede che il Sud perderà circa 2,5 milioni di giovani, costretti a emigrare al Nord per cercare lavoro e sopravvivere. E mentre, a sorpresa, il Nord sorpassa il Sud per il numero medio di figli per donna, il Sud a sua volta è destinato a sorpassare il Nord quanto al numero degli ultraottantenni.
A dispetto del cliché tradizionale, nonostante il livello maggiore di occupazione e anzi proprio per questo, ormai le donne settentrionali – più garantite e assistite dal sistema del welfare – prolificano più di quelle meridionali, anche per l’effetto statistico dell’immigrazione straniera. Il Mezzogiorno, da area giovane e ricca di menti e di braccia, nel prossimo quarantennio si trasformerà così in un ospizio virtuale: un’area spopolata, anziana ed economicamente sempre più dipendente dal resto del Paese, a sua volta progressivamente invecchiato.
Se la Padania non esiste, dunque, il Sud sta morendo. E quando si dice Sud, si dice un terzo del Paese. Otto regioni (Campania, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna), con una popolazione di oltre 20 milioni di persone su un totale di 60, quasi il doppio della Grecia o del Portogallo; più di 6.500 imprese con un fatturato superiore al milione di euro (2007), pari all’11,5% del totale, per un fatturato di quasi 90 miliardi di euro su un complesso di 800 (11,2%). Un grande serbatoio di energie, umane e intellettuali; un deposito straordinario di natura, arte e cultura; ma anche un grosso mercato di consumatori.
L’Italia può fare a meno del Sud per crescere? Può dividersi o spaccarsi in due? Può amputarsi della propria metà?
È questa illusione rivendicativa e propagandistica il vero errore politico della Lega. Ed è anche la più grave debolezza del governo in carica e della sua maggioranza. L’illusione di poter tagliare il Sud come un ramo secco, un arto in cancrena, un organo malato. Sta proprio nell’incapacità di risolvere la "questione meridionale" – intesa come questione nazionale –in modo da innescare la ripresa e alimentare lo sviluppo del Paese, il fallimento strategico del centrodestra. Qui emerge tutta la sua arretratezza culturale; tutta la sua impotenza di fronte alla crisi che attanaglia il mondo, l’Europa e quindi l’Italia. La risposta evidentemente non può essere quella di buttare in mare la zavorra, bensì di governare la nave nella tempesta, per portarla indenne in acque sicure.
Nell’interesse dell’intero Paese, occorrerebbe allora una forte spinta propulsiva a favore del Sud nel decreto Sviluppo in gestazione tra palazzo Chigi e il ministero dell’Economia. Un investimento sociale, prima che economico, in quella parte dell’Italia che può e deve ancora crescere per ridurre le distanze con il CentroNord. A cominciare, naturalmente, dalla lotta agli sprechi e alle ruberie; alle false pensioni e ai falsi invalidi; e quindi alla sfida quotidiana della criminalità organizzata, sostenuta dalla subcultura dell’omertà.
I meridionali non sono certamente immuni da queste e da altre colpe. E perciò spetta innanzitutto a loro, ai giovani e alle donne, alle élites intellettuali, a quel tanto di opinione pubblica che pure alligna nelle università, nei circoli e nelle associazioni, promuovere una riscossa civile contro il degrado e l’abbandono a cui sono stati condannati dal governo a trazione leghista. Oggi più che mai il rinnovamento e la modernizzazione del Paese passano necessariamente attraverso una rinascita del Mezzogiorno, per rilanciare tutta l’economia nazionale.


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