sabato 9 aprile 2011

L'Aquila nei panorami temporanei del World press photo Massimo Mastrorillo

Di Irene Alison

Panorami instabili. La polvere che si accumula fino a ridisegnare il profilo del paesaggio. Le memorie - foto, vestiti, oggetti smarriti - che ancora riaffiorano dalle profondità di una città fantasma, incastrata nell'attesa di un futuro che non arriva. Così Massimo Mastrorillo, fotografo già vincitore del World Press Photo 2005 per il suo ritratto in bianco e nero delle coste indonesiane spazzate dallo tsunami, racconta L'Aquila a due anni dal terremoto che, il 6 aprile del 2009, ha fermato il tempo nel capoluogo abruzzese.

Il suo progetto, Temporary Landscapes, a cura dello studio 3/3, sarà esposto nelle strade della città nel giorno dell'anniversario e sarà in mostra fino al 4 maggio a Milano e nelle librerie Fnac di tutt'Italia.

Come è nato il progetto?
Sono stato all'Aquila la prima volta subito dopo il terremoto, ma non mi interessava unirmi al delirio mediatico intorno alla tragedia. Volevo raccontare le conseguenze di un evento stumentalizzato in chiave politico-mediatica come forse nessun altro nella nostra storia: per questo ho continuato a tornarci nei successivi due anni.

Come ha deciso di procedere?
Il progetto è articolato in diversi fasi. In un primo momento ho documentato l'immediato post-terremoto. Poi il G8: una situazione surreale, l'Aquila trasformata in un villaggio turistico, con i politici sotto i riflettori come star del cinema. Nella terza fase ho cercato di rappresentare la spettralità della città abbandonata e militarizzata, con delle fotografie notturne dei paesaggi segnati dal sisma. Successivamente mi sono concentrato sull'elemento umano, realizzando una sorta di catalogo fotografico degli oggetti smarriti durante il terremoto, che ancora oggi si trovano per le strade. Infine, ho raccolto per strada le fotografie abbandonate, ormai quasi cancellate dalle intemperie. Una metafora della memoria che sta sbiadendo, perché anche tra gli aquilani il ricordo della loro città si appanna e resta solo quello delle macerie.

Come ha scelto i luoghi dei suoi scatti?
Mi interessava raccontare la presenza dell'uomo attraverso la sua assenza, fotografando dei paesaggi temporanei perché in continuo mutamento: ma, come segnala il punto di domanda nel titolo del progetto, questa temporaneità rischia ormai di farsi stabile. L'Aquila sembra una scenografia teatrale, è sospesa nel tempo e nello spazio. Io ho cercato di spingere le persone ad andare dietro la facciata.

Al di là del momento espositivo, il progetto si articola su più piattaforme. Perché?
La mia prima esigenza era democratizzare le immagini, restituendole alle persone comuni. Per questo, con il patrocinio del Comune dell'Aquila, abbiamo organizzato una mostra a cielo aperto per le strade della città, anche nelle zone chiuse al pubblico. Le foto che non saranno raggiungibili, saranno visibili tramite Google Earth: un modo, questo, per superare l'inaccessibilità della zona rossa. Abbiamo inoltre creato un blog dove, oltre alle immagini del progetto, vengono caricate foto di fotografi abruzzesi che hanno lavorato sul territorio e informazioni relative alle asssociazioni attive nella zona, per offrire una piattaforma di discussione soprattutto agli aquilani. Una fase ulteriore sarà una fanzine che raccoglie le immagini, distribuita gratuitamente all'Aquila. Per il futuro, stiamo inoltre pensando a un'uscita su iPad per approfondire l'argomento con altri contenuti.

A due anni dal terremoto come si sta ricostruendo l'identità degli aquilani?
Si dice che l'Aquila venga distrutta ogni 300 anni, ma, se si pensa a quanto accaduto nel 1700, quando dopo il terremoto i governanti chiusero i cittadini tra le mura dando loro gli strumenti per ricostruire e riconoscendogli l'esenzione fiscale fino a ricostruzione avvenuta, stupisce ancora di più la miopia delle scelte di oggi. La città è stata chiusa e le persone disperse su un'area di 30, 40 chilometri in new town prive di identità. Non c'è programmazione, non c'è futuro: dopo l'emergenza, dopo la rabbia, è subentrata la rassegnazione. Certo, ci sono diverse forme di reazione: c'è chi, da fuori, torna all'Aquila per combattere, ma ci sono anche migliaia di adolescenti che non hanno luoghi di ritrovo oltre ai centri commerciali, che fanno i conti con l'alcolismo in aumento e con i sintomi da stress postraumatico.

Fonte:Il Sole 24 ore


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Di Irene Alison

Panorami instabili. La polvere che si accumula fino a ridisegnare il profilo del paesaggio. Le memorie - foto, vestiti, oggetti smarriti - che ancora riaffiorano dalle profondità di una città fantasma, incastrata nell'attesa di un futuro che non arriva. Così Massimo Mastrorillo, fotografo già vincitore del World Press Photo 2005 per il suo ritratto in bianco e nero delle coste indonesiane spazzate dallo tsunami, racconta L'Aquila a due anni dal terremoto che, il 6 aprile del 2009, ha fermato il tempo nel capoluogo abruzzese.

Il suo progetto, Temporary Landscapes, a cura dello studio 3/3, sarà esposto nelle strade della città nel giorno dell'anniversario e sarà in mostra fino al 4 maggio a Milano e nelle librerie Fnac di tutt'Italia.

Come è nato il progetto?
Sono stato all'Aquila la prima volta subito dopo il terremoto, ma non mi interessava unirmi al delirio mediatico intorno alla tragedia. Volevo raccontare le conseguenze di un evento stumentalizzato in chiave politico-mediatica come forse nessun altro nella nostra storia: per questo ho continuato a tornarci nei successivi due anni.

Come ha deciso di procedere?
Il progetto è articolato in diversi fasi. In un primo momento ho documentato l'immediato post-terremoto. Poi il G8: una situazione surreale, l'Aquila trasformata in un villaggio turistico, con i politici sotto i riflettori come star del cinema. Nella terza fase ho cercato di rappresentare la spettralità della città abbandonata e militarizzata, con delle fotografie notturne dei paesaggi segnati dal sisma. Successivamente mi sono concentrato sull'elemento umano, realizzando una sorta di catalogo fotografico degli oggetti smarriti durante il terremoto, che ancora oggi si trovano per le strade. Infine, ho raccolto per strada le fotografie abbandonate, ormai quasi cancellate dalle intemperie. Una metafora della memoria che sta sbiadendo, perché anche tra gli aquilani il ricordo della loro città si appanna e resta solo quello delle macerie.

Come ha scelto i luoghi dei suoi scatti?
Mi interessava raccontare la presenza dell'uomo attraverso la sua assenza, fotografando dei paesaggi temporanei perché in continuo mutamento: ma, come segnala il punto di domanda nel titolo del progetto, questa temporaneità rischia ormai di farsi stabile. L'Aquila sembra una scenografia teatrale, è sospesa nel tempo e nello spazio. Io ho cercato di spingere le persone ad andare dietro la facciata.

Al di là del momento espositivo, il progetto si articola su più piattaforme. Perché?
La mia prima esigenza era democratizzare le immagini, restituendole alle persone comuni. Per questo, con il patrocinio del Comune dell'Aquila, abbiamo organizzato una mostra a cielo aperto per le strade della città, anche nelle zone chiuse al pubblico. Le foto che non saranno raggiungibili, saranno visibili tramite Google Earth: un modo, questo, per superare l'inaccessibilità della zona rossa. Abbiamo inoltre creato un blog dove, oltre alle immagini del progetto, vengono caricate foto di fotografi abruzzesi che hanno lavorato sul territorio e informazioni relative alle asssociazioni attive nella zona, per offrire una piattaforma di discussione soprattutto agli aquilani. Una fase ulteriore sarà una fanzine che raccoglie le immagini, distribuita gratuitamente all'Aquila. Per il futuro, stiamo inoltre pensando a un'uscita su iPad per approfondire l'argomento con altri contenuti.

A due anni dal terremoto come si sta ricostruendo l'identità degli aquilani?
Si dice che l'Aquila venga distrutta ogni 300 anni, ma, se si pensa a quanto accaduto nel 1700, quando dopo il terremoto i governanti chiusero i cittadini tra le mura dando loro gli strumenti per ricostruire e riconoscendogli l'esenzione fiscale fino a ricostruzione avvenuta, stupisce ancora di più la miopia delle scelte di oggi. La città è stata chiusa e le persone disperse su un'area di 30, 40 chilometri in new town prive di identità. Non c'è programmazione, non c'è futuro: dopo l'emergenza, dopo la rabbia, è subentrata la rassegnazione. Certo, ci sono diverse forme di reazione: c'è chi, da fuori, torna all'Aquila per combattere, ma ci sono anche migliaia di adolescenti che non hanno luoghi di ritrovo oltre ai centri commerciali, che fanno i conti con l'alcolismo in aumento e con i sintomi da stress postraumatico.

Fonte:Il Sole 24 ore


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