lunedì 4 aprile 2011

Intanto B. divora le frequenze

Le vicende giudiziarie non hanno distratto il premier dal suo lavoro: fare gli interessi di Mediaset. E così il governo ha sospeso la gara sulle televisioni. Per favorire le reti possedute o controllate dal capo

Di Riccardo Bocca

La scena risale a pochi giorni fa. Cornice internazionale: Bruxelles. Protagonisti il presidente dell'associazione Altroconsumo, Paolo Martinello, e un giornalista inglese che lo sta intervistando. Il cronista vuole risposte sul sistema televisivo italiano, e in particolare sul passaggio in corso dall'universo analogico a quello digitale. Martinello, quindi, inizia il suo ragionamento. Mettendo le cose in chiaro: "In Italia", dice, "è essenziale che Sky partecipi alla gara per le frequenze del digitale terrestre". Di più: "Rupert Murdoch", spiega, "è un garante del pluralismo, un tassello imprescindibile nell'evoluzione democratica dei nostri media". Al che il giornalista sgrana gli occhi. Smette di prendere appunti, e dopo un flash di stupore chiede: "Murdoch? Il magnate australiano? Puntate sullo Squalo, per salvare il vostro pluralismo?". "Io stesso", confida Martinello, "coglievo il paradosso delle mie parole. Ma non cambio idea: anche uno schiacciasassi alla Murdoch, da noi, è il benvenuto. Comunque sia, può limitare lo strapotere di Rai e Mediaset. E già questo è un successo, parlando di digitale...".

Quanto sia calda la partita, d'altronde, lo confermano i numeri. Nell'ultimo mese, mostrano le tabelle dello studio Frasi, su 24 milioni 641 mila famiglie italiane, 20 milioni 392 mila posseggono un decoder per il digitale, contro i 14 milioni 79 mila che ne utilizzavano uno a marzo 2010.

Tradotto in percentuale: più 44,8 per cento. "A febbraio", spiegano gli analisti, "il consumo televisivo è passato dal digitale terrestre nel 61,5 per cento dei casi, mentre la presenza analogica è calata al 21,8 (in ottobre era 37,1) e il satellitare ha raggiunto quota 16,3. "Tutto va per il meglio", garantisce Andrea Ambrogetti, da un lato direttore Relazioni istituzionali Italia di Mediaset, dall'altro presidente di Dgtvi, l'associazione nazionale per lo sviluppo del digitale terrestre (a cui partecipano, tra gli altri, la stessa Mediaset, Rai, Telecom Italia Media e la Dfree di Tarak Ben Ammar, socio altrove di Silvio Berlusconi). "Nel rispetto delle indicazioni europee", sottolinea Ambrogetti, "sono già state digitalizzate dieci regioni (vedi box qui sotto), e le altre lo saranno entro il primo semestre del 2012". Un grazie, dunque, lo riserva all'Agcom, "l'Autorità garante delle telecomunicazioni che ha lavorato con scrupolo", e un altro "al ministro per lo Sviluppo economico Paolo Romani, che ha mantenuto tutti gli impegni presi". Ma allora perché, nei corridoi dell'Agcom, c'è chi presenta la corsa al digitale terrestre come "un esempio di grottesco italiano, una never ending story zeppa di furbizie, conflitti d'interesse e balletti attorno alle leggi?".

La risposta, assurda, sta nella guerra che si combatte da sei anni. Prima tappa maggio 2005, quando gli stessi uomini di Altroconsumo che oggi tifano Murdoch, inviano un esposto alla Commissione europea. "La legge Gasparri del 2004", spiega Martinello, "concedeva a Rai e Mediaset privilegi illegittimi, che impedivano l'accesso al digitale di nuovi operatori". Per questo, l'associazione dei consumatori chiede all'Europa di aprire una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia. E viene accontentata: "Nel luglio 2006, la Commissione spedisce una lettera al governo italiano dove contesta la Gasparri: ossia la possibilità automatica, per chi trasmette in analogico, di moltiplicare per cinque la presenza in digitale".

E' qui che, all'improvviso, l'Italia si vede costretta a correggere il tiro: pena multe da milioni di euro, in nome di una spartizione a favore dei soliti noti. Un pericolo che le casse pubbliche non possono affrontare, e infatti nel 2009 interviene l'Agcom con la delibera 181: "Un documento chiave", a giudizio di Antonio Sassano, consulente dell'Authority e professore di Ricerca operativa alla Sapienza di Roma: "Stabilisce, infatti, che Rai e Mediaset (titolari, ciascuna, di tre reti analogiche e due digitali) controllino quattro frequenze a testa, mentre in parallelo Telecom Italia Media deve scendere a tre canali (da due analogici e due digitali)". Che potrebbe anche sembrare una sconfitta per i colossi tv, ma non lo è affatto. "Il trucco è questo", spiegano gli addetti ai lavori: "nella stessa delibera è prevista una gara, divisa in due bandi, per distribuire ulteriori cinque frequenze (vedi box nella pagina a fianco). E mentre il primo bando, con tre frequenze in palio, è riservato agli operatori "senza posizione dominante nel mercato televisivo", il secondo (con le ultime due frequenze) è aperto a chi in precedenza ha trasmesso su meno di cinque canali: "cioè, guarda caso, aziende come Rai e Mediaset, che in questo modo manterranno una posizione privilegiata".

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Le vicende giudiziarie non hanno distratto il premier dal suo lavoro: fare gli interessi di Mediaset. E così il governo ha sospeso la gara sulle televisioni. Per favorire le reti possedute o controllate dal capo

Di Riccardo Bocca

La scena risale a pochi giorni fa. Cornice internazionale: Bruxelles. Protagonisti il presidente dell'associazione Altroconsumo, Paolo Martinello, e un giornalista inglese che lo sta intervistando. Il cronista vuole risposte sul sistema televisivo italiano, e in particolare sul passaggio in corso dall'universo analogico a quello digitale. Martinello, quindi, inizia il suo ragionamento. Mettendo le cose in chiaro: "In Italia", dice, "è essenziale che Sky partecipi alla gara per le frequenze del digitale terrestre". Di più: "Rupert Murdoch", spiega, "è un garante del pluralismo, un tassello imprescindibile nell'evoluzione democratica dei nostri media". Al che il giornalista sgrana gli occhi. Smette di prendere appunti, e dopo un flash di stupore chiede: "Murdoch? Il magnate australiano? Puntate sullo Squalo, per salvare il vostro pluralismo?". "Io stesso", confida Martinello, "coglievo il paradosso delle mie parole. Ma non cambio idea: anche uno schiacciasassi alla Murdoch, da noi, è il benvenuto. Comunque sia, può limitare lo strapotere di Rai e Mediaset. E già questo è un successo, parlando di digitale...".

Quanto sia calda la partita, d'altronde, lo confermano i numeri. Nell'ultimo mese, mostrano le tabelle dello studio Frasi, su 24 milioni 641 mila famiglie italiane, 20 milioni 392 mila posseggono un decoder per il digitale, contro i 14 milioni 79 mila che ne utilizzavano uno a marzo 2010.

Tradotto in percentuale: più 44,8 per cento. "A febbraio", spiegano gli analisti, "il consumo televisivo è passato dal digitale terrestre nel 61,5 per cento dei casi, mentre la presenza analogica è calata al 21,8 (in ottobre era 37,1) e il satellitare ha raggiunto quota 16,3. "Tutto va per il meglio", garantisce Andrea Ambrogetti, da un lato direttore Relazioni istituzionali Italia di Mediaset, dall'altro presidente di Dgtvi, l'associazione nazionale per lo sviluppo del digitale terrestre (a cui partecipano, tra gli altri, la stessa Mediaset, Rai, Telecom Italia Media e la Dfree di Tarak Ben Ammar, socio altrove di Silvio Berlusconi). "Nel rispetto delle indicazioni europee", sottolinea Ambrogetti, "sono già state digitalizzate dieci regioni (vedi box qui sotto), e le altre lo saranno entro il primo semestre del 2012". Un grazie, dunque, lo riserva all'Agcom, "l'Autorità garante delle telecomunicazioni che ha lavorato con scrupolo", e un altro "al ministro per lo Sviluppo economico Paolo Romani, che ha mantenuto tutti gli impegni presi". Ma allora perché, nei corridoi dell'Agcom, c'è chi presenta la corsa al digitale terrestre come "un esempio di grottesco italiano, una never ending story zeppa di furbizie, conflitti d'interesse e balletti attorno alle leggi?".

La risposta, assurda, sta nella guerra che si combatte da sei anni. Prima tappa maggio 2005, quando gli stessi uomini di Altroconsumo che oggi tifano Murdoch, inviano un esposto alla Commissione europea. "La legge Gasparri del 2004", spiega Martinello, "concedeva a Rai e Mediaset privilegi illegittimi, che impedivano l'accesso al digitale di nuovi operatori". Per questo, l'associazione dei consumatori chiede all'Europa di aprire una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia. E viene accontentata: "Nel luglio 2006, la Commissione spedisce una lettera al governo italiano dove contesta la Gasparri: ossia la possibilità automatica, per chi trasmette in analogico, di moltiplicare per cinque la presenza in digitale".

E' qui che, all'improvviso, l'Italia si vede costretta a correggere il tiro: pena multe da milioni di euro, in nome di una spartizione a favore dei soliti noti. Un pericolo che le casse pubbliche non possono affrontare, e infatti nel 2009 interviene l'Agcom con la delibera 181: "Un documento chiave", a giudizio di Antonio Sassano, consulente dell'Authority e professore di Ricerca operativa alla Sapienza di Roma: "Stabilisce, infatti, che Rai e Mediaset (titolari, ciascuna, di tre reti analogiche e due digitali) controllino quattro frequenze a testa, mentre in parallelo Telecom Italia Media deve scendere a tre canali (da due analogici e due digitali)". Che potrebbe anche sembrare una sconfitta per i colossi tv, ma non lo è affatto. "Il trucco è questo", spiegano gli addetti ai lavori: "nella stessa delibera è prevista una gara, divisa in due bandi, per distribuire ulteriori cinque frequenze (vedi box nella pagina a fianco). E mentre il primo bando, con tre frequenze in palio, è riservato agli operatori "senza posizione dominante nel mercato televisivo", il secondo (con le ultime due frequenze) è aperto a chi in precedenza ha trasmesso su meno di cinque canali: "cioè, guarda caso, aziende come Rai e Mediaset, che in questo modo manterranno una posizione privilegiata".

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