giovedì 14 aprile 2011

Governo 2012, più tasse per tutti


Una cifra mostruosa: dieci miliardi di euro. E' quello che dovremo pagare in più dall'anno prossimo. Grazie alle addizionali locali all'Irpef previste dalle legge sul federalismo. Voluta dalla Lega e fatta propria dal Pdl

Di Luca Piana

Il numero segreto del federalismo è 10 miliardi di euro. E' questo il conto che i cittadini onesti, quelli che pagano le imposte sui redditi, potrebbero ritrovarsi a saldare per garantire quel principio di autonomia delle comunità locali che sta alla base della riforma più importante del governo in carica.

Qui non si tratta di tasse e imposte che già si pagano a Roma e che, con la rivoluzione architettata dai ministri Roberto Calderoli e Giulio Tremonti, verranno almeno in parte dirottate su città, Province e Regioni. I 10 miliardi sono una cosa diversa. Sono il prezzo della libertà. Sono i quattrini che i sindaci e i presidenti delle Regioni potranno chiedere in più alle persone che abitano nei loro municipi, nei loro territori. Per questo si chiamano "addizionali": sono maggiorazioni che Comuni e Regioni possono introdurre sull'Irpef, l'imposta sui redditi.

Le addizionali, in realtà, esistono già dal 1998. Negli ultimi anni, però, il loro incremento era stato bloccato per legge, facendo storcere il naso agli autonomisti più convinti, al fine di impedire che gli enti locali avessero sul fisco una mano troppo pesante. Con la riforma ormai giunta al dunque gli aumenti sono stati nuovamente autorizzati, in virtù del principio fondamentale che dovrebbe valere per ogni federalismo: il poter godere della libertà di spendere le risorse che gli amministratori hanno il coraggio di chiedere - sotto forma di imposte o di tasse - ai loro elettori. L'autonomia responsabile, come la chiamano gli esperti.
I sindaci che non l'avevano ancora fatto in passato potranno così esigere fino a un tetto massimo dello 0,4 per cento del reddito delle persone fisiche. Da parte loro i governatori regionali potranno invece inasprire il balzello (ma solo a partire dal 2013) con quote variabili fra l'1,4 e il 3 per cento, a seconda delle fasce di reddito dei contribuenti.

Quale sia l'effetto ipotizzabile di questo "liberi tutti" ha provato a calcolarlo l'ufficio studi della Cgia di Mestre, l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese della provincia veneziana. Nel 2010 le addizionali regionali in vigore, quelle congelate da tempo, hanno garantito un gettito fiscale di 7,1 miliardi per le casse delle Regioni e di 2,7 miliardi per quelle dei Comuni. Se d'ora in poi sindaci e governatori ricorreranno a questa possibilità nella misura massima consentita, nel 2015 il flusso complessivo delle addizionali salirà a 19,7 miliardi. A regime il grosso andrà sempre ai governatori (16,6 miliardi, più del doppio del livello del 2010), mentre i sindaci dovranno accontentarsi di un semplice ritocco di 400 milioni (fino a 3,1 miliardi).

Queste tabelle sintetizzano quale potrà essere l'effetto per persone con tre diversi livelli di reddito delle due addizionali: comunale e regionale. Un milanese che guadagna 25 mila euro lordi l'anno e che nel 2010 aveva pagato in tutto 263 euro potrà arrivare a 850 nel 2015. Così suddivisi: 100 al sindaco Letizia Moratti, alla quale finora non aveva versato nulla, e 750 al governatore Roberto Formigoni, che fino adesso gli aveva chiesto 263 euro.

Per rimanere agli esempi elaborati dalla Cgia di Mestre, i più fortunati - si fa per dire - sono i cittadini di Roma e Palermo con un reddito di 15 mila euro l'anno. A loro, che già pagano addizionali al top, il federalismo riserva la magra consolazione di chiedere un conto pari a zero, almeno sul fronte delle addizionali Irpef. A Bari, Firenze e Milano, invece, l'opzione di aumentare l'imposta riaperta per sindaci e presidenti regionali potrebbe costare parecchio: oltre mille euro l'anno in più per quei contribuenti che dichiarano un reddito di 50 mila euro.

Questi numeri danno spazio a diverse considerazioni. La prima è che non è fin d'ora scontato che tutti gli amministratori applichino le addizionali previste. Certo, il drastico taglio negli ultimi anni delle risorse distribute da Roma agli enti locali rende l'ipotesi probabile, almeno in molti casi. Chi vorrà farlo, però, dovrà assumersi la responsabilità di chiarire agli elettori quali siano i suoi obiettivi.

Tremonti ha lasciato la possibilità di aumentare le addizionali a chi, ad esempio, ridurrà l'Irap, l'imposta sulle attività produttive, molto mal vista dagli imprenditori e da quei lavoratori autonomi che sono tenuti a pagarla. Assecondare i desideri di una parte così influente dell'elettorato, tuttavia, vorrebbe dire trasferirne il costo a chi, come i lavoratori dipendenti e gli autonomi onesti, è già oggi costretto a versare allo Stato più del 50 per cento dei propri guadagni, come ha calcolato Giuseppe Bortolussi nel libro "Tassati e mazziati", da poco giunto in libreria (leggi).

La seconda considerazione è che i 10 miliardi di sacrifici che la riforma potrà chiedere ai contribuenti italiani in nome dell'autonomia fiscale sono, per certi versi, una cifra troppo modesta, almeno agli occhi dei federalisti più convinti. "A ben vedere stiamo parlando del 5 per cento dei 200 miliardi di costi che, nel complesso, le Regioni arriveranno con ogni probabilità a sostenere nel 2015", dice Gilberto Muraro, professore di Scienza delle Finanze a Padova, che vede proprio nei troppi limiti all'autonomia degli enti locali la grande delusione della riforma Calderoli-Tremonti, colpevole di lasciare il grosso del gettito fiscale di ogni territorio eccessivamente vincolato alle scelte del governo centrale.

"Purtroppo dobbiamo parlare di una riforma incompiuta: per questo motivo è preoccupante l'attesa quasi miracolistica che la Lega ha creato attorno al federalismo, come se da un giorno all'altro le regioni settentrionali dovessero ritrovarsi a nuotare nell'oro e quelle meridionali a cavarsela con le proprie forze", dice Muraro. Per l'economista, al contrario, gli effetti della riforma rischiano di essere fin troppo lenti: "Credo che, al massimo, darà qualche frutto se riuscirà a creare nel Mezzogiorno una classe politica più adeguata e onesta, permettendo alle regioni del Nord di ridurre progressivamente il costo dell'assistenzialismo", spiega.

Per toccare con mano questi paradossi può essere utile questa mappa. A elaborarla è stata una fonte ufficiale, la Ragioneria dello Stato, su richiesta della Commissione tecnica per l'attuazione del federalismo (detta Copaff). I calcoli riassunti nella figura mostrano l'applicazione della riforma della sanità secondo la ricetta voluta da Calderoli e Tremonti. Risultato: con le nuove regole le Regioni del Nord avrebbero avuto meno risorse per la sanità di quelle che avevano ottenuto nel 2010; quelle del Sud ne avrebbero avute di più. La reazione dei governatori del Nord, e di Formigoni in particolare, pare sia stata immediata: non se ne fa nulla, le regole appena decise vanno cambiate. Così i tecnici di Tremonti hanno dovuto rimettersi al lavoro.


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Una cifra mostruosa: dieci miliardi di euro. E' quello che dovremo pagare in più dall'anno prossimo. Grazie alle addizionali locali all'Irpef previste dalle legge sul federalismo. Voluta dalla Lega e fatta propria dal Pdl

Di Luca Piana

Il numero segreto del federalismo è 10 miliardi di euro. E' questo il conto che i cittadini onesti, quelli che pagano le imposte sui redditi, potrebbero ritrovarsi a saldare per garantire quel principio di autonomia delle comunità locali che sta alla base della riforma più importante del governo in carica.

Qui non si tratta di tasse e imposte che già si pagano a Roma e che, con la rivoluzione architettata dai ministri Roberto Calderoli e Giulio Tremonti, verranno almeno in parte dirottate su città, Province e Regioni. I 10 miliardi sono una cosa diversa. Sono il prezzo della libertà. Sono i quattrini che i sindaci e i presidenti delle Regioni potranno chiedere in più alle persone che abitano nei loro municipi, nei loro territori. Per questo si chiamano "addizionali": sono maggiorazioni che Comuni e Regioni possono introdurre sull'Irpef, l'imposta sui redditi.

Le addizionali, in realtà, esistono già dal 1998. Negli ultimi anni, però, il loro incremento era stato bloccato per legge, facendo storcere il naso agli autonomisti più convinti, al fine di impedire che gli enti locali avessero sul fisco una mano troppo pesante. Con la riforma ormai giunta al dunque gli aumenti sono stati nuovamente autorizzati, in virtù del principio fondamentale che dovrebbe valere per ogni federalismo: il poter godere della libertà di spendere le risorse che gli amministratori hanno il coraggio di chiedere - sotto forma di imposte o di tasse - ai loro elettori. L'autonomia responsabile, come la chiamano gli esperti.
I sindaci che non l'avevano ancora fatto in passato potranno così esigere fino a un tetto massimo dello 0,4 per cento del reddito delle persone fisiche. Da parte loro i governatori regionali potranno invece inasprire il balzello (ma solo a partire dal 2013) con quote variabili fra l'1,4 e il 3 per cento, a seconda delle fasce di reddito dei contribuenti.

Quale sia l'effetto ipotizzabile di questo "liberi tutti" ha provato a calcolarlo l'ufficio studi della Cgia di Mestre, l'associazione degli artigiani e delle piccole imprese della provincia veneziana. Nel 2010 le addizionali regionali in vigore, quelle congelate da tempo, hanno garantito un gettito fiscale di 7,1 miliardi per le casse delle Regioni e di 2,7 miliardi per quelle dei Comuni. Se d'ora in poi sindaci e governatori ricorreranno a questa possibilità nella misura massima consentita, nel 2015 il flusso complessivo delle addizionali salirà a 19,7 miliardi. A regime il grosso andrà sempre ai governatori (16,6 miliardi, più del doppio del livello del 2010), mentre i sindaci dovranno accontentarsi di un semplice ritocco di 400 milioni (fino a 3,1 miliardi).

Queste tabelle sintetizzano quale potrà essere l'effetto per persone con tre diversi livelli di reddito delle due addizionali: comunale e regionale. Un milanese che guadagna 25 mila euro lordi l'anno e che nel 2010 aveva pagato in tutto 263 euro potrà arrivare a 850 nel 2015. Così suddivisi: 100 al sindaco Letizia Moratti, alla quale finora non aveva versato nulla, e 750 al governatore Roberto Formigoni, che fino adesso gli aveva chiesto 263 euro.

Per rimanere agli esempi elaborati dalla Cgia di Mestre, i più fortunati - si fa per dire - sono i cittadini di Roma e Palermo con un reddito di 15 mila euro l'anno. A loro, che già pagano addizionali al top, il federalismo riserva la magra consolazione di chiedere un conto pari a zero, almeno sul fronte delle addizionali Irpef. A Bari, Firenze e Milano, invece, l'opzione di aumentare l'imposta riaperta per sindaci e presidenti regionali potrebbe costare parecchio: oltre mille euro l'anno in più per quei contribuenti che dichiarano un reddito di 50 mila euro.

Questi numeri danno spazio a diverse considerazioni. La prima è che non è fin d'ora scontato che tutti gli amministratori applichino le addizionali previste. Certo, il drastico taglio negli ultimi anni delle risorse distribute da Roma agli enti locali rende l'ipotesi probabile, almeno in molti casi. Chi vorrà farlo, però, dovrà assumersi la responsabilità di chiarire agli elettori quali siano i suoi obiettivi.

Tremonti ha lasciato la possibilità di aumentare le addizionali a chi, ad esempio, ridurrà l'Irap, l'imposta sulle attività produttive, molto mal vista dagli imprenditori e da quei lavoratori autonomi che sono tenuti a pagarla. Assecondare i desideri di una parte così influente dell'elettorato, tuttavia, vorrebbe dire trasferirne il costo a chi, come i lavoratori dipendenti e gli autonomi onesti, è già oggi costretto a versare allo Stato più del 50 per cento dei propri guadagni, come ha calcolato Giuseppe Bortolussi nel libro "Tassati e mazziati", da poco giunto in libreria (leggi).

La seconda considerazione è che i 10 miliardi di sacrifici che la riforma potrà chiedere ai contribuenti italiani in nome dell'autonomia fiscale sono, per certi versi, una cifra troppo modesta, almeno agli occhi dei federalisti più convinti. "A ben vedere stiamo parlando del 5 per cento dei 200 miliardi di costi che, nel complesso, le Regioni arriveranno con ogni probabilità a sostenere nel 2015", dice Gilberto Muraro, professore di Scienza delle Finanze a Padova, che vede proprio nei troppi limiti all'autonomia degli enti locali la grande delusione della riforma Calderoli-Tremonti, colpevole di lasciare il grosso del gettito fiscale di ogni territorio eccessivamente vincolato alle scelte del governo centrale.

"Purtroppo dobbiamo parlare di una riforma incompiuta: per questo motivo è preoccupante l'attesa quasi miracolistica che la Lega ha creato attorno al federalismo, come se da un giorno all'altro le regioni settentrionali dovessero ritrovarsi a nuotare nell'oro e quelle meridionali a cavarsela con le proprie forze", dice Muraro. Per l'economista, al contrario, gli effetti della riforma rischiano di essere fin troppo lenti: "Credo che, al massimo, darà qualche frutto se riuscirà a creare nel Mezzogiorno una classe politica più adeguata e onesta, permettendo alle regioni del Nord di ridurre progressivamente il costo dell'assistenzialismo", spiega.

Per toccare con mano questi paradossi può essere utile questa mappa. A elaborarla è stata una fonte ufficiale, la Ragioneria dello Stato, su richiesta della Commissione tecnica per l'attuazione del federalismo (detta Copaff). I calcoli riassunti nella figura mostrano l'applicazione della riforma della sanità secondo la ricetta voluta da Calderoli e Tremonti. Risultato: con le nuove regole le Regioni del Nord avrebbero avuto meno risorse per la sanità di quelle che avevano ottenuto nel 2010; quelle del Sud ne avrebbero avute di più. La reazione dei governatori del Nord, e di Formigoni in particolare, pare sia stata immediata: non se ne fa nulla, le regole appena decise vanno cambiate. Così i tecnici di Tremonti hanno dovuto rimettersi al lavoro.


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