venerdì 29 aprile 2011

Dal Banco di Sicilia all'Unicredit La fine di un punto di riferimento per tutti i siciliani

(Pasquale Hamel) C'era una volta il Banco. Potrebbe essere questa l'epigrafe di una storia aziendale che ha segnato il percorso di questo ultimo secolo e mezzo della nostra terra. Perché, checche se ne dica, il Banco di Sicilia ha condizionato nel bene o nel male lo sviluppo culturale ed economico dell'isola accompagnando, e non solo sul piano finanziario, speranze e delusioni del popolo siciliano. Il Banco, infatti, ha costituito un riferimento certo che, seppure mal gestito e spesso (ahime') ricettacolo di malaffare, aveva pero' operativamente la capacita' di relazionarsi, anche positivamente, col territorio e con i bisogni che lo stesso esprimeva. Un istituto di credito che, nonostante le considerevoli dimensioni (si trattava pur sempre di una grande banca nazionale con sedi, nei tempi migliori, anche all'estero), riusciva ad offrire un profilo non freddo o arido, tipico dei rapporti formali, ma, direi, quasi umano, cioè non lontano dagli stili di vita tipici della cultura locale.


In poche parole un istituto di credito che adottava il criterio del buon padre di famiglia: un modo di operare che consentiva di superare la contrapposizione dialettica fra creditore e debitore per riproporre un modello che potremmo definire paternalistico e collaborativo inteso a sostituire al conflitto la buona mediazione. Dirigenti, funzionari e dipendenti avevano, infatti, in modo più o meno evidente, tutti un volto, una voce, una capacita' di interlocuzione con la clientela che non si fermava alla verifica dei conti economici ma che s'immedesimava nelle vicende personali dei clienti che andava, cioè, oltre, confrontandosi con la situazione complessiva di colui che con cui si entrava in rapporto.

Il cliente era visto come persona e non come numero di pratica. Uno stile che faceva del Banco il riferimento locale, che ne faceva elemento imprescindibile, mi si consenta l'esagerazione, della vita dei siciliani. Da qualche anno, purtroppo, quel riferimento non c'è più. La poca lungimiranza politica di chi ha governato, maggioranza e opposizione compresa, e l'avventurismo di qualche dirigente, uniti al cupio dissolvi praticato da irresponsabili pezzi della società siciliana, ha consentito la sua liquidazione per pochi spiccioli giustificando come necessaria un'operazione che ha avuto tutta l'aria, e non sono il solo a scriverlo, di un regalo fatto a chi avrebbe dovuto salvarlo dal dissesto ma che, in realta', non si trovava in migliori condizioni dello stesso Banco.

Il Banco di Sicilia di oggi, ma quella e' solo una sigla che manterrà ancora per poco tempo, ha poco a che fare con il suo travagliato passato, ha infatti tutt'altra connotazione, tutt'altro stile, uno stile improntato a un professionalismo manageriale anonimo, che riduce tutto ai numeri, che non guarda in faccia nessuno, a cui, ci sembra, delle sorti del territorio non interessi più di tanto. Potrebbe, non me ne vogliano gli interessati, essere definito una dependance senza autonomia, popolata da un personale frustrato, e direttamente guidata da un grande fratello che da lontano, senza comprendere valori e pesi, indica linee aziendali (che a considerare come vanno le cose non sembrano poi essere cosi' brillanti), del gruppo stesso. Un istituto diverso, dunque, che anche per quanto sopra detto, perde perfino competitività rispetto a gruppi locali e che,mi si consenta la provocazione, sarebbe meglio che dismettesse subito quella sigla Banco di Sicilia, perché continuare a tenerla in vita, mi pare, costituisca ed e' in effetti e' tale, una provocatoria beffa per la nostra Sicilia.

Fonte: SiciliaInformazioni.com
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(Pasquale Hamel) C'era una volta il Banco. Potrebbe essere questa l'epigrafe di una storia aziendale che ha segnato il percorso di questo ultimo secolo e mezzo della nostra terra. Perché, checche se ne dica, il Banco di Sicilia ha condizionato nel bene o nel male lo sviluppo culturale ed economico dell'isola accompagnando, e non solo sul piano finanziario, speranze e delusioni del popolo siciliano. Il Banco, infatti, ha costituito un riferimento certo che, seppure mal gestito e spesso (ahime') ricettacolo di malaffare, aveva pero' operativamente la capacita' di relazionarsi, anche positivamente, col territorio e con i bisogni che lo stesso esprimeva. Un istituto di credito che, nonostante le considerevoli dimensioni (si trattava pur sempre di una grande banca nazionale con sedi, nei tempi migliori, anche all'estero), riusciva ad offrire un profilo non freddo o arido, tipico dei rapporti formali, ma, direi, quasi umano, cioè non lontano dagli stili di vita tipici della cultura locale.


In poche parole un istituto di credito che adottava il criterio del buon padre di famiglia: un modo di operare che consentiva di superare la contrapposizione dialettica fra creditore e debitore per riproporre un modello che potremmo definire paternalistico e collaborativo inteso a sostituire al conflitto la buona mediazione. Dirigenti, funzionari e dipendenti avevano, infatti, in modo più o meno evidente, tutti un volto, una voce, una capacita' di interlocuzione con la clientela che non si fermava alla verifica dei conti economici ma che s'immedesimava nelle vicende personali dei clienti che andava, cioè, oltre, confrontandosi con la situazione complessiva di colui che con cui si entrava in rapporto.

Il cliente era visto come persona e non come numero di pratica. Uno stile che faceva del Banco il riferimento locale, che ne faceva elemento imprescindibile, mi si consenta l'esagerazione, della vita dei siciliani. Da qualche anno, purtroppo, quel riferimento non c'è più. La poca lungimiranza politica di chi ha governato, maggioranza e opposizione compresa, e l'avventurismo di qualche dirigente, uniti al cupio dissolvi praticato da irresponsabili pezzi della società siciliana, ha consentito la sua liquidazione per pochi spiccioli giustificando come necessaria un'operazione che ha avuto tutta l'aria, e non sono il solo a scriverlo, di un regalo fatto a chi avrebbe dovuto salvarlo dal dissesto ma che, in realta', non si trovava in migliori condizioni dello stesso Banco.

Il Banco di Sicilia di oggi, ma quella e' solo una sigla che manterrà ancora per poco tempo, ha poco a che fare con il suo travagliato passato, ha infatti tutt'altra connotazione, tutt'altro stile, uno stile improntato a un professionalismo manageriale anonimo, che riduce tutto ai numeri, che non guarda in faccia nessuno, a cui, ci sembra, delle sorti del territorio non interessi più di tanto. Potrebbe, non me ne vogliano gli interessati, essere definito una dependance senza autonomia, popolata da un personale frustrato, e direttamente guidata da un grande fratello che da lontano, senza comprendere valori e pesi, indica linee aziendali (che a considerare come vanno le cose non sembrano poi essere cosi' brillanti), del gruppo stesso. Un istituto diverso, dunque, che anche per quanto sopra detto, perde perfino competitività rispetto a gruppi locali e che,mi si consenta la provocazione, sarebbe meglio che dismettesse subito quella sigla Banco di Sicilia, perché continuare a tenerla in vita, mi pare, costituisca ed e' in effetti e' tale, una provocatoria beffa per la nostra Sicilia.

Fonte: SiciliaInformazioni.com
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