lunedì 7 marzo 2011

Il Risorgimento? Solo un sogno.



Durante le manifestazioni del centenario dell’unità d’Italia svoltesi nella città martoriata e martire, nel 1961, il sindaco della città Prof. Pasquale Corbo, rivolgendosi al presidente del Consiglio Amintore Fanfani, senza peli sulla lingua come era suo costume, crudamente, continuò ad attaccare il regime savoiardo, ritenendolo il responsabile principe della decadenza della città:" Purtroppo. Signor Presidente, la realtà è stata molto diversa dalle speranze che nacquero in ogni gaetano all’indomani dell’annessione all’Italia. Tutto l’immenso complesso immobiliare costituente l’antica piazzaforte veniva infatti mantenuto interamente perché, come sostenne il generale Fanti in una sua relazione del 18-2-61 " se cadesse in mano ad altri ci darebbe immenso fastidio". D’allora Gaeta ha vissuto periodi tristissimi di abbandono e di miseria; la Città è stata umiliata in tutti i modi, e dal ruolo di fortezza chiave passò a quello di sede di carcere militare, sicchè il suo nome, che era stato unito a sentimenti di gloriosa ammirazione, incominciò a diventare sinonimo di penoso luogo di espiazione. La gloriosa fortezza diventò sinistra parola di minaccia. La città, che per oltre tre quarti non apparteneva più ai gaetani a cui era stata espropriata nei secoli ai fini di erigere le necessarie opere fortificatorie, continuò a restare demaniale...Gaeta fu costretta alla vita più grama e ad una emigrazione massiccia, partirono in quegli anni migliaia di nostri concittadini...” ( 4 anni di progresso per Gaeta, edito dal comune di Gaeta, stralcio del discorso pronunciato per le celebrazioni dell’unità d’Italia dall’allora sindaco della città Prof. Pasquale Corbo)

Lo stato siamo noi

Gaeta, sotto i Savoia, era diventata la città che non c’è, una mera espressione geografica. Cialdini e soci l’hanno scannata. Il suo territorio, esteso per 2.847 ettari, per oltre due terzi non è amministrabile da parte dei suoi cittadini in quanto sotto la giurisdizione demaniale. Il Comune, per far utilizzare strade, scuole ed impianti sportivi ai gaetani è costretto a pagare il pizzo allo Stato; vorremmo sapere se il comune di Milano o quello di Torino pagano per piazza Duomo o per piazza San Carlo. Non ci risulta. Di tutto il centro storico dell’antica città è rimasto ai gaetani solo Piazza Commestibili, per chi non lo sapesse è quella dove al centro c’è il leone marmoreo che rappresenta la grandiosità di Gaeta nei secoli. Il resto è tutta proprietà di Cialdini, di Cavour, di Vittorio Emanuele II, di Enrico Cosenz, di Menabrea, di Mazzini: eh già! Sono tutti edifici pubblici costruiti dai Borbone e intitolati a coloro che hanno massacrato la città. Il Prof. Corbo è un gaetano verace, nel bene e nel male, forse l’unico sindaco, dopo Ianni, ad aver capito che la città era ancora preda dei piemontesi. Il primo fatto destituire dal potere savoiardo ed il secondo da quello massonico: s’era preso la briga di distruggere ciò che non era riuscito a Cialdini e a Persano: i bastioni dell’Annunziata, quelli del Castrone Sant’Antonio e quelli dell’Avanzata. Noi siamo stati sempre critici per quell’operazione, ma dopo anni, cercando di immedesimarci nel pensare del Sindaco, nella rabbia che doveva avere in corpo Pasquale Corbo, uomo di grande cultura e storico, uomo di grande carattere, capiamo. Quei bastioni rappresentavano il potere coloniale Statale, l’asservimento totale, Gaeta era nelle mani dei militari e del demanio, nella fortezza non vi erano più i Borbone ma i piemontesi e l’unico modo per riprendersi la città, era l’apertura di un varco, di una breccia che desse luce e potere a chi era stato eletto democraticamente. Corbo cadde in disgrazia ma nessun altro sindaco ha saputo combattere il Demanio statale che, oggi, ha messo in vendita tutti i gioielli che i Borbone ci hanno lasciato integri. I Borbone pagavano alla città l’essere fortezza, le casse del comune erano sempre piene, cinque grana ( la famosa tassa di stallaggio) al giorno per ogni militare di stanza a Gaeta rendevano floride le sue finanze, oggi la città, per poter far passeggiare e studiare i suoi cittadini, deve pagare il pizzo allo Stato essendo demianiali quei luoghi. Che differenza! Corbo sapeva tutto questo e non usava pagare il pizzo allo Stato, qualcuno, pare, sembra aver udito dalla sua bocca:” lo Stato siamo noi” e aveva ragione.

Madre di tutti non più matrigna per molti

A Gaeta molti ricordano il sindaco Corbo, sia per le opere pubbliche dalla sua amministrazione realizzate e sia per la sua cultura; amministratore tenace e decisionista, non disdegnava le considerazioni dell’opposizione dura dei comunisti Mariano Mandolesi e Gigino Dell’Anno, e del socialista Archita Danaro; lavoravano tutti per il bene ed il benessere della città, sempre con lealtà ed onestà assoluta. Ebbene, quel giorno erano tutti sul palco, quel giorno in cui si celebrava il centenario dell’unità d’Italia, di fronte al Presidente del Consiglio Fanfani e alle massime autorità dello Stato, il Prof. Corbo così finì il suo coraggioso discorso:” ...Ed infine, Signor Presidente, mi permetta di parlare a nome di tutte le città del nostro Meridione, in qualità di Sindaco di Gaeta, che per il suo generoso tributo di sangue e di sacrificio, per la sua insostituibile missione di civiltà e di storia, è stata sempre ed è considerata la porta del Sud d’Italia. A nome di questo Sud, fucina inesausta di nobili intelletti e di cuori generosi, io formulo l’auspicio ed il voto, nel giorno solenne che celebra i cento anni trascorsi dall’unità con la Patria, che le popolazioni meridionali possano finalmente concludere, sotto l’impulso del Governo Democratico e repubblicano, il loro millenario travaglio. Noi vogliamo concludere, Signor Presidente, l’opera di chi attuò nel sogno e nella pratica il Risorgimento d’Italia: facciamo sì che la Patria sia veramente la la Madre di tutti, e non più matrigna per molti; diamo a tutti una certezza, e non più soltanto speranza, di lavoro e di benessere; concludiamo cioè, lealmente e liberamente, quel moto risorgimentale che non voleva essere soltanto l’attuazione dell’unità territoriale e politica, ma soprattutto dell’unità morale, sociale e spirituale degli italiani. Auspicio che è già una certezza essendo formulato alla Sua presenza, Signor Presidente, e di tutte le altre responsabili ed illuminate autorità; ma soprattutto di fronte a questo popolo meraviglioso che è testimonianza di un solo cuore che palpita per gli stessi ideali e da Gaeta in questo giorno memorabile per le memorie del passato e per le speranze del futuro, io rilancio l’antico grido dei nostri avi, che già risuonò in ogni vicenda lieta e dolorosa, e che oggi risuoni in ogni cuore nella fede di un avvenire migliore: Viva l’Italia!”

Prof. Corbo, le sue parole sono ancora attuali. L’Italia, per il Sud, è ancora matrigna e non madre; l’Italia, per il Sud , in parte è ancora patria lontana, patria che fa emigrare i suoi figli, patria che non ha risolto la problematica della ricchezza di una sola parte del suo territorio, di quella patria che non vuole risolverla perché i Savoia hanno costruito artatamente un’economia padana a spese della colonia Sud; l’Italia è nostra patria quando ci chiamano a morire per guerre che non ci riguardano, l’Italia è nostra patria quando mandano i Meridionali a lavorare all’estero, senza protezione alcuna e senza assistenza; l’Italia è nostra patria quando sfruttano le risorse del Sud come il petrolio, o quando sfruttano da 140 anni le rimesse dei nostri emigranti assistendo il Nord padano. L’Italia non è nostra patria quando tutta l’economia è nelle mani degli imprenditori del Nord, quando andiamo a comprare merce nei supermercati, tutti del Nord, tutti nelle mani del capitale nordista; l’Italia non è la nostra patria quando vendono i nostri beni demaniali, i nostri gioielli lasciatici dai Borbone in eredità perenne. L’Italia non è la nostra patria quando le concessioni di qualunque tipo finiscono nelle mani massoniche degli imprenditori del Nord. Hanno distrutto il nostro apparato industriale, hanno distrutto la nostra economia, le nostre banche inglobate da quelle padane e nordiste, i mass media quasi tutti nelle mani del Nord. Volevano distruggere la nostra identità. Non ci sono riusciti, la memoria storica sta tornando, il Sud ha intrapreso la via maestra tracciata a San Leucio dai Borbone.

Tratto dal libro di Antonio Ciano " Le stragi e gli eccidi dei savoia"


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Durante le manifestazioni del centenario dell’unità d’Italia svoltesi nella città martoriata e martire, nel 1961, il sindaco della città Prof. Pasquale Corbo, rivolgendosi al presidente del Consiglio Amintore Fanfani, senza peli sulla lingua come era suo costume, crudamente, continuò ad attaccare il regime savoiardo, ritenendolo il responsabile principe della decadenza della città:" Purtroppo. Signor Presidente, la realtà è stata molto diversa dalle speranze che nacquero in ogni gaetano all’indomani dell’annessione all’Italia. Tutto l’immenso complesso immobiliare costituente l’antica piazzaforte veniva infatti mantenuto interamente perché, come sostenne il generale Fanti in una sua relazione del 18-2-61 " se cadesse in mano ad altri ci darebbe immenso fastidio". D’allora Gaeta ha vissuto periodi tristissimi di abbandono e di miseria; la Città è stata umiliata in tutti i modi, e dal ruolo di fortezza chiave passò a quello di sede di carcere militare, sicchè il suo nome, che era stato unito a sentimenti di gloriosa ammirazione, incominciò a diventare sinonimo di penoso luogo di espiazione. La gloriosa fortezza diventò sinistra parola di minaccia. La città, che per oltre tre quarti non apparteneva più ai gaetani a cui era stata espropriata nei secoli ai fini di erigere le necessarie opere fortificatorie, continuò a restare demaniale...Gaeta fu costretta alla vita più grama e ad una emigrazione massiccia, partirono in quegli anni migliaia di nostri concittadini...” ( 4 anni di progresso per Gaeta, edito dal comune di Gaeta, stralcio del discorso pronunciato per le celebrazioni dell’unità d’Italia dall’allora sindaco della città Prof. Pasquale Corbo)

Lo stato siamo noi

Gaeta, sotto i Savoia, era diventata la città che non c’è, una mera espressione geografica. Cialdini e soci l’hanno scannata. Il suo territorio, esteso per 2.847 ettari, per oltre due terzi non è amministrabile da parte dei suoi cittadini in quanto sotto la giurisdizione demaniale. Il Comune, per far utilizzare strade, scuole ed impianti sportivi ai gaetani è costretto a pagare il pizzo allo Stato; vorremmo sapere se il comune di Milano o quello di Torino pagano per piazza Duomo o per piazza San Carlo. Non ci risulta. Di tutto il centro storico dell’antica città è rimasto ai gaetani solo Piazza Commestibili, per chi non lo sapesse è quella dove al centro c’è il leone marmoreo che rappresenta la grandiosità di Gaeta nei secoli. Il resto è tutta proprietà di Cialdini, di Cavour, di Vittorio Emanuele II, di Enrico Cosenz, di Menabrea, di Mazzini: eh già! Sono tutti edifici pubblici costruiti dai Borbone e intitolati a coloro che hanno massacrato la città. Il Prof. Corbo è un gaetano verace, nel bene e nel male, forse l’unico sindaco, dopo Ianni, ad aver capito che la città era ancora preda dei piemontesi. Il primo fatto destituire dal potere savoiardo ed il secondo da quello massonico: s’era preso la briga di distruggere ciò che non era riuscito a Cialdini e a Persano: i bastioni dell’Annunziata, quelli del Castrone Sant’Antonio e quelli dell’Avanzata. Noi siamo stati sempre critici per quell’operazione, ma dopo anni, cercando di immedesimarci nel pensare del Sindaco, nella rabbia che doveva avere in corpo Pasquale Corbo, uomo di grande cultura e storico, uomo di grande carattere, capiamo. Quei bastioni rappresentavano il potere coloniale Statale, l’asservimento totale, Gaeta era nelle mani dei militari e del demanio, nella fortezza non vi erano più i Borbone ma i piemontesi e l’unico modo per riprendersi la città, era l’apertura di un varco, di una breccia che desse luce e potere a chi era stato eletto democraticamente. Corbo cadde in disgrazia ma nessun altro sindaco ha saputo combattere il Demanio statale che, oggi, ha messo in vendita tutti i gioielli che i Borbone ci hanno lasciato integri. I Borbone pagavano alla città l’essere fortezza, le casse del comune erano sempre piene, cinque grana ( la famosa tassa di stallaggio) al giorno per ogni militare di stanza a Gaeta rendevano floride le sue finanze, oggi la città, per poter far passeggiare e studiare i suoi cittadini, deve pagare il pizzo allo Stato essendo demianiali quei luoghi. Che differenza! Corbo sapeva tutto questo e non usava pagare il pizzo allo Stato, qualcuno, pare, sembra aver udito dalla sua bocca:” lo Stato siamo noi” e aveva ragione.

Madre di tutti non più matrigna per molti

A Gaeta molti ricordano il sindaco Corbo, sia per le opere pubbliche dalla sua amministrazione realizzate e sia per la sua cultura; amministratore tenace e decisionista, non disdegnava le considerazioni dell’opposizione dura dei comunisti Mariano Mandolesi e Gigino Dell’Anno, e del socialista Archita Danaro; lavoravano tutti per il bene ed il benessere della città, sempre con lealtà ed onestà assoluta. Ebbene, quel giorno erano tutti sul palco, quel giorno in cui si celebrava il centenario dell’unità d’Italia, di fronte al Presidente del Consiglio Fanfani e alle massime autorità dello Stato, il Prof. Corbo così finì il suo coraggioso discorso:” ...Ed infine, Signor Presidente, mi permetta di parlare a nome di tutte le città del nostro Meridione, in qualità di Sindaco di Gaeta, che per il suo generoso tributo di sangue e di sacrificio, per la sua insostituibile missione di civiltà e di storia, è stata sempre ed è considerata la porta del Sud d’Italia. A nome di questo Sud, fucina inesausta di nobili intelletti e di cuori generosi, io formulo l’auspicio ed il voto, nel giorno solenne che celebra i cento anni trascorsi dall’unità con la Patria, che le popolazioni meridionali possano finalmente concludere, sotto l’impulso del Governo Democratico e repubblicano, il loro millenario travaglio. Noi vogliamo concludere, Signor Presidente, l’opera di chi attuò nel sogno e nella pratica il Risorgimento d’Italia: facciamo sì che la Patria sia veramente la la Madre di tutti, e non più matrigna per molti; diamo a tutti una certezza, e non più soltanto speranza, di lavoro e di benessere; concludiamo cioè, lealmente e liberamente, quel moto risorgimentale che non voleva essere soltanto l’attuazione dell’unità territoriale e politica, ma soprattutto dell’unità morale, sociale e spirituale degli italiani. Auspicio che è già una certezza essendo formulato alla Sua presenza, Signor Presidente, e di tutte le altre responsabili ed illuminate autorità; ma soprattutto di fronte a questo popolo meraviglioso che è testimonianza di un solo cuore che palpita per gli stessi ideali e da Gaeta in questo giorno memorabile per le memorie del passato e per le speranze del futuro, io rilancio l’antico grido dei nostri avi, che già risuonò in ogni vicenda lieta e dolorosa, e che oggi risuoni in ogni cuore nella fede di un avvenire migliore: Viva l’Italia!”

Prof. Corbo, le sue parole sono ancora attuali. L’Italia, per il Sud, è ancora matrigna e non madre; l’Italia, per il Sud , in parte è ancora patria lontana, patria che fa emigrare i suoi figli, patria che non ha risolto la problematica della ricchezza di una sola parte del suo territorio, di quella patria che non vuole risolverla perché i Savoia hanno costruito artatamente un’economia padana a spese della colonia Sud; l’Italia è nostra patria quando ci chiamano a morire per guerre che non ci riguardano, l’Italia è nostra patria quando mandano i Meridionali a lavorare all’estero, senza protezione alcuna e senza assistenza; l’Italia è nostra patria quando sfruttano le risorse del Sud come il petrolio, o quando sfruttano da 140 anni le rimesse dei nostri emigranti assistendo il Nord padano. L’Italia non è nostra patria quando tutta l’economia è nelle mani degli imprenditori del Nord, quando andiamo a comprare merce nei supermercati, tutti del Nord, tutti nelle mani del capitale nordista; l’Italia non è la nostra patria quando vendono i nostri beni demaniali, i nostri gioielli lasciatici dai Borbone in eredità perenne. L’Italia non è la nostra patria quando le concessioni di qualunque tipo finiscono nelle mani massoniche degli imprenditori del Nord. Hanno distrutto il nostro apparato industriale, hanno distrutto la nostra economia, le nostre banche inglobate da quelle padane e nordiste, i mass media quasi tutti nelle mani del Nord. Volevano distruggere la nostra identità. Non ci sono riusciti, la memoria storica sta tornando, il Sud ha intrapreso la via maestra tracciata a San Leucio dai Borbone.

Tratto dal libro di Antonio Ciano " Le stragi e gli eccidi dei savoia"


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