giovedì 10 marzo 2011

Dubbi sul destino della Grecia - E il debito pubblico torna a salire


L'Italia si trova nella strana condizione di avere un tasso di crescita previsto di 1 per cento inferiore a quello tedesco e un costo del debito che è mediamente 1,5 per cento più alto. Una dato oggettivo che rende incerta la situazione anche sul breve periodo

L’Italia torna a pagare di più per finanziare il suo debito pubblico: un titolo di Stato a 3 anni rende ai sottoscrittori il 3,40 per cento ed uno a 10 anni il 5 per cento. Gli investitori internazionali hanno “riprezzato” il rischio italiano portandolo nuovamente al 1,72 per cento. Il rischio di contagio da Grecia, Irlanda e Portogallo appare oggi più credibile di quanto non apparisse qualche settimana fa, a questo si aggiungono i dubbi sulla sostenibilità finanziaria del nostro debito pubblico con un rialzo dei tassi d’interesse europei.

Ci troviamo nella strana condizione di avere un tasso di crescita previsto di 1 per cento inferiore a quello tedesco e un costo del debito che è mediamente 1,5 per cento più alto. Anche uno studente di terza media si chiederebbe quanto questa situazione sia sostenibile nel medio periodo. L’ultima speranza del ministero del Tesoro di evitare un ulteriore aumento del costo del denaro è la riunione dei ministri delle finanze europee che si terrà venerdì prossimo. In quella sede si dovrebbe trovare un accordo di massima sui meccanismi di salvataggio degli stati europei nella speranza che i mercati ricomincino a comprare i bond dei PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna).

Ma i problemi non riguardano più soltanto la rete di protezione finanziaria a sostegno dei paesi più deboli ma la stessa tenuta del sistema finanziario europeo. L’ortodossia monetaria tedesca di cui è impregnata la Bce ha contagiato anche Mario Draghi (Bankitalia) e Lorenzo Bini Smaghi(membro italiano del consiglio direttivo della Bce) che ormai apertis verbis hanno abbracciato la linea del rialzo dei tassi d’interesse e la contestuale necessità di manovre economiche a ripetizione anticipate da massicci aumenti di capitale delle banche, necessari per compensare la carenza di liquidità che si determinerebbe nel mercato. Una cura da cavallo per l’economia italiana a cui Giulio Tremonti sembra voler resistere, nonostante la ormai evidente necessità di una manovra economica di almeno 20 miliardi da annunciare dopo le elezioni amministrative di giugno.

Ma imporre a Italia, Spagna e Portogallo una politica economica ritagliata sulle necessità tedesche sembra non solo impossibile ma anche controproducente. La bilancia dei pagamenti in passivo di 27 miliardi di euro nel 2010 è una spia rossa sul cruscotto dell’economia italiana. Il cambio fisso a cui ci ha costretto l’euro è stato fino al 2009 compensato da una diminuzione vistosa dei tassi d’interesse con cui si è finanziata la spesa pubblica e le imprese, una politica economica restrittiva accompagnata da misure economiche draconiane potrebbe devastare i consumi, allentare la coesione sociale, diminuire ulteriormente la crescita e le entrate fiscali fino a far percepire l’euro come una camicia di forza da cui liberarsi. Timori che Tremonti ha più volte esplicitato, ma la sua linea non ha il supporto dell’establishment europeo e soprattutto è indebolita dal fatto che il governo è interamente ripiegato sulle questioni di politica interna.

Da Il Fatto Quotidiano del 10 marzo 2011
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L'Italia si trova nella strana condizione di avere un tasso di crescita previsto di 1 per cento inferiore a quello tedesco e un costo del debito che è mediamente 1,5 per cento più alto. Una dato oggettivo che rende incerta la situazione anche sul breve periodo

L’Italia torna a pagare di più per finanziare il suo debito pubblico: un titolo di Stato a 3 anni rende ai sottoscrittori il 3,40 per cento ed uno a 10 anni il 5 per cento. Gli investitori internazionali hanno “riprezzato” il rischio italiano portandolo nuovamente al 1,72 per cento. Il rischio di contagio da Grecia, Irlanda e Portogallo appare oggi più credibile di quanto non apparisse qualche settimana fa, a questo si aggiungono i dubbi sulla sostenibilità finanziaria del nostro debito pubblico con un rialzo dei tassi d’interesse europei.

Ci troviamo nella strana condizione di avere un tasso di crescita previsto di 1 per cento inferiore a quello tedesco e un costo del debito che è mediamente 1,5 per cento più alto. Anche uno studente di terza media si chiederebbe quanto questa situazione sia sostenibile nel medio periodo. L’ultima speranza del ministero del Tesoro di evitare un ulteriore aumento del costo del denaro è la riunione dei ministri delle finanze europee che si terrà venerdì prossimo. In quella sede si dovrebbe trovare un accordo di massima sui meccanismi di salvataggio degli stati europei nella speranza che i mercati ricomincino a comprare i bond dei PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna).

Ma i problemi non riguardano più soltanto la rete di protezione finanziaria a sostegno dei paesi più deboli ma la stessa tenuta del sistema finanziario europeo. L’ortodossia monetaria tedesca di cui è impregnata la Bce ha contagiato anche Mario Draghi (Bankitalia) e Lorenzo Bini Smaghi(membro italiano del consiglio direttivo della Bce) che ormai apertis verbis hanno abbracciato la linea del rialzo dei tassi d’interesse e la contestuale necessità di manovre economiche a ripetizione anticipate da massicci aumenti di capitale delle banche, necessari per compensare la carenza di liquidità che si determinerebbe nel mercato. Una cura da cavallo per l’economia italiana a cui Giulio Tremonti sembra voler resistere, nonostante la ormai evidente necessità di una manovra economica di almeno 20 miliardi da annunciare dopo le elezioni amministrative di giugno.

Ma imporre a Italia, Spagna e Portogallo una politica economica ritagliata sulle necessità tedesche sembra non solo impossibile ma anche controproducente. La bilancia dei pagamenti in passivo di 27 miliardi di euro nel 2010 è una spia rossa sul cruscotto dell’economia italiana. Il cambio fisso a cui ci ha costretto l’euro è stato fino al 2009 compensato da una diminuzione vistosa dei tassi d’interesse con cui si è finanziata la spesa pubblica e le imprese, una politica economica restrittiva accompagnata da misure economiche draconiane potrebbe devastare i consumi, allentare la coesione sociale, diminuire ulteriormente la crescita e le entrate fiscali fino a far percepire l’euro come una camicia di forza da cui liberarsi. Timori che Tremonti ha più volte esplicitato, ma la sua linea non ha il supporto dell’establishment europeo e soprattutto è indebolita dal fatto che il governo è interamente ripiegato sulle questioni di politica interna.

Da Il Fatto Quotidiano del 10 marzo 2011
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