martedì 5 agosto 2008

PONTELANDOLFO 5 agosto 1861


L’ECCIDIO
di Pontelandolfo e Casalduni
di Antonio Ciano

da: “I Savoia e il massacro del sud” - Grandmelò, ROMA, 1996



[...] La notte tra il 4 ed il 5 agosto le montagne che cingevano Pontelandolfo sembravano brulicare di partigiani: i fuochi accesi erano tantissimi e davano coraggio alle popolazioni, scoramento e paura ai liberali.
I mercenari del colonnello De Marco erano inquieti; sapevano che se fossero stati attaccati in paese, sarebbero morti come topi, non avrebbero avuto scampo; bastava che i partigiani bloccassero l’entrata del paese nei pressi della chiesa di San Donato.
Il colonnello garibaldino consigliato dai suoi luogotenenti e dalla paura decise di partire, diede ordine alla sua colonna di prepararsi a lasciare Pontelandolfo e mandò cinque sottufficiali ad avvertire il sindaco Melchiorre, l’architetto Sforza, il delegato di P.S. Coppola e pochi altri liberali, insomma tutta la feccia del paese, tutti i ladroni delle sostanze del popolo.
I contadini erano stremati, affamati.
Il governo piemontese, nel giro di un anno era riuscito a massacrare l’economia meridionale, d’altronde le casse torinesi erano vuote da tanto tempo ed i banchieri londinesi non davano tregua ai governanti sabaudi.
Questi erano i veri moventi dei criminali di guerra scesi dal Nord e non altri: dovevano eliminare i resistenti, i partigiani regi per avere libero accesso ed un controllo totale sui beni e sulle ricchezze del Sud e sui suoi commerci.
I contadini meridionali sapevano tutto questo, avvertivano sulla loro pelle che dovevano combattere per il loro Re per non perdere la libertà e la certezza di un tozzo di pane; avvertivano che una volta asserviti al Piemonte per loro sarebbe stata la fine; sapevano che i liberali appoggiavano i nuovi padroni ed i liberali rappresentavano solo la classe degli agrari.
Al Sud si combatteva una guerra non dichiarata tra i contadini ed i loro nemici di classe, tra i contadini poveri ma dignitosi e gente assatanata di dominio e di denaro; al Sud si combatteva una guerra tra una dinastia illuminata e cattolica che aveva dato prosperità a tutto un popolo ed una monarchia votata alla consorteria massonica e servile; si combatteva una guerra decisiva tra una nazione, quella napoletana, libera da gioghi stanieri e quella piemontese asservita alle forze occulte.
I contadini combattevano contro i liberali, contro l’Inghilterra, contro la Francia, contro i mercenari ungheresi, russi, polacchi, slavi, tedeschi, contro i garibaldini, contro le truppe piemontesi.
Molti contadini del Nord avvertendo la lotta di classe in corso disertarono la truppa savoiarda; molti furono fucilati, altri raggiunsero le bande partigiane. Intanto a Pontelandolfo il sindaco Melchiorre ed i suoi scherani stavano per lasciare la città; verso mezzogiorno De Marco diede l’ordine di partire, la sua colonna scortava 10 carri pieni di casse appartenenti alla feccia liberale del paese sannita.
Come a sfregio, Melchiorre, prima di partire deliberò che la fiera di San Donato non doveva svolgersi. La colonna si diresse verso San Lupo, impaurita. Dai campi ed in tutta la valle si sentivano le note dell’inno libertà…… [...].
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L’ECCIDIO
di Pontelandolfo e Casalduni
di Antonio Ciano

da: “I Savoia e il massacro del sud” - Grandmelò, ROMA, 1996



[...] La notte tra il 4 ed il 5 agosto le montagne che cingevano Pontelandolfo sembravano brulicare di partigiani: i fuochi accesi erano tantissimi e davano coraggio alle popolazioni, scoramento e paura ai liberali.
I mercenari del colonnello De Marco erano inquieti; sapevano che se fossero stati attaccati in paese, sarebbero morti come topi, non avrebbero avuto scampo; bastava che i partigiani bloccassero l’entrata del paese nei pressi della chiesa di San Donato.
Il colonnello garibaldino consigliato dai suoi luogotenenti e dalla paura decise di partire, diede ordine alla sua colonna di prepararsi a lasciare Pontelandolfo e mandò cinque sottufficiali ad avvertire il sindaco Melchiorre, l’architetto Sforza, il delegato di P.S. Coppola e pochi altri liberali, insomma tutta la feccia del paese, tutti i ladroni delle sostanze del popolo.
I contadini erano stremati, affamati.
Il governo piemontese, nel giro di un anno era riuscito a massacrare l’economia meridionale, d’altronde le casse torinesi erano vuote da tanto tempo ed i banchieri londinesi non davano tregua ai governanti sabaudi.
Questi erano i veri moventi dei criminali di guerra scesi dal Nord e non altri: dovevano eliminare i resistenti, i partigiani regi per avere libero accesso ed un controllo totale sui beni e sulle ricchezze del Sud e sui suoi commerci.
I contadini meridionali sapevano tutto questo, avvertivano sulla loro pelle che dovevano combattere per il loro Re per non perdere la libertà e la certezza di un tozzo di pane; avvertivano che una volta asserviti al Piemonte per loro sarebbe stata la fine; sapevano che i liberali appoggiavano i nuovi padroni ed i liberali rappresentavano solo la classe degli agrari.
Al Sud si combatteva una guerra non dichiarata tra i contadini ed i loro nemici di classe, tra i contadini poveri ma dignitosi e gente assatanata di dominio e di denaro; al Sud si combatteva una guerra tra una dinastia illuminata e cattolica che aveva dato prosperità a tutto un popolo ed una monarchia votata alla consorteria massonica e servile; si combatteva una guerra decisiva tra una nazione, quella napoletana, libera da gioghi stanieri e quella piemontese asservita alle forze occulte.
I contadini combattevano contro i liberali, contro l’Inghilterra, contro la Francia, contro i mercenari ungheresi, russi, polacchi, slavi, tedeschi, contro i garibaldini, contro le truppe piemontesi.
Molti contadini del Nord avvertendo la lotta di classe in corso disertarono la truppa savoiarda; molti furono fucilati, altri raggiunsero le bande partigiane. Intanto a Pontelandolfo il sindaco Melchiorre ed i suoi scherani stavano per lasciare la città; verso mezzogiorno De Marco diede l’ordine di partire, la sua colonna scortava 10 carri pieni di casse appartenenti alla feccia liberale del paese sannita.
Come a sfregio, Melchiorre, prima di partire deliberò che la fiera di San Donato non doveva svolgersi. La colonna si diresse verso San Lupo, impaurita. Dai campi ed in tutta la valle si sentivano le note dell’inno libertà…… [...].

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